di Gianna Deidda
in arte Dottoressa Amelia
Il secondo e il quarto sabato di ogni mese all’ospedale di Prato ci sono gli accompagnamenti in sala operatoria. Gli “accompagnamenti” consistono nell’intrattenere i bambini che devono essere operati (e i loro genitori, spesso molto più impauriti dei figli!) allo scopo di ridurre l’ansia prima dell’intervento. Il fine del nostro lavoro è sempre lo stesso, ma il modo in cui si svolge cambia a seconda della struttura ospedaliera. Si va dall’intrattenimento volante in sala d’aspetto, che coinvolge tutti i bambini presenti in quel momento, come al Meyer, a interventi che, come a Siena, possono durare molto a lungo, perché accompagniamo il bambino per tutto il tempo dell’attesa fino alla soglia, e a volte anche oltre la soglia, della sala operatoria.
Proprio un episodio accaduto a Siena è rimasto negli annali di Soccorso Clown, tramandato di bocca in bocca a futura memoria: a due clown-dottori (credo si trattasse del dottor Tonto e della dottoressa Soffietto) fu chiesto di essere presenti anche in sala operatoria durante l’intervento perché il bambino non tollerava l’anestesia generale e doveva essere operato da sveglio in anestesia locale. I due colleghi furono talmente abili a distrarlo che il bambino non s’accorse di nulla e non versò una lacrima!
A Prato si tratta in genere di operazioni non troppo impegnative. I bambini arrivano la mattina stessa dell’intervento e nell’attesa vengono ricoverati in pediatria. Noi andiamo a trovarli nella loro camera e, almeno quando riusciamo a far coincidere i nostri tempi con il turno d’ingresso, li accompagniamo fino all’entrata nella sala operatoria e li salutiamo quando il genitore prescelto indossa il camice e la cuffietta sterile e si avvia insieme a loro.
Questo sabato sono di turno con la dottoressa Ottovolante: è la sua prima volta con gli accompagnamenti a Prato. Da un po’ di tempo il reparto di ricovero, per motivi che mi sono ignoti, è quello di otorinolaringoiatria, un reparto al quale si arriva dopo diverse rampe di scale e giri labirintici per quel labirintico ospedale.
La mattinata scorre bene, e ci divertiamo molto. I bambini non sono tanti e dopo un paio d’ore (il turno è di tre ore) siamo state con tutti a sufficienza. In questo momento sarebbe inutile trattenerci più a lungo, la loro attenzione e il “livello dell’energia” comincerebbero a calare, perciò decidiamo di fare un giretto in pediatria da altri bambini e di tornare più tardi. Mentre ci avviamo, sentiamo piangere dall’ultima camera alla fine del corridoio. È un bambino piccolo, che è stato appena operato e si è svegliato dall’anestesia. In questi casi non è facile consolarli, soprattutto quando sono così piccoli. Oltre al dolore per loro incomprensibile (si sono addormentati che stavano bene!) e al malessere generale dovuto all’anestesia, immagino che siano parecchio arrabbiati con tutti gli adulti dai quali si sentono traditi. Comunque, proviamo. Ci affacciamo alla camera in penombra: il bambino è in braccio alla mamma che lo culla, in piedi, cercando di consolarlo, e piange con gran lacrimoni. C’è anche il fratellino più grande, che abbiamo già conosciuto prima. Disegna seduto a un tavolino e ci accoglie con un gran sorriso silenzioso. La mamma attira immediatamente l’attenzione del bimbo su di noi. Io suono l’ukulele, più dolcemente che posso, la dottoressa Ottovolante tira fuori il dito luminoso. Il bambino ci guarda, segue la piccola luce rossa che appare e scompare, si dimentica di piangere per un po’, ogni tanto si ricorda del suo dolore e ricomincia. La mamma gli parla sottovoce, attira ancora la sua attenzione su di noi, lui smette di nuovo di piangere e ci guarda. Poi ricomincia, più debolmente. Io e Ottovolante decidiamo tacitamente, senza neppure guardarci, di cambiare: io metto via l’ukulele e tiro fuori le bolle di sapone, lei prende un piccolo carillon, che sprigiona una musica ancora più lieve e dolce. Il fratellino si alza e comincia a giocare con le bolle senza fare il più piccolo rumore. È un’azione concertata tra Ottovolante, me, la mamma che sussurra al bambino “le bolle… guarda le bolle…!” e il fratellino con la sua piccola danza silenziosa. Alla fine il piccolo si tranquillizza completamente, accenna un sorriso e noi ci allontaniamo in punta di piedi lasciandoli avvolti in una nuvola di bolle.
Usciamo dalla stanza. È andata!
“E ora…” comincio, e vorrei proseguire: “…possiamo andare in pediatria.” Ma Ottovolante mi interrompe : “ E ora brave noi! Mi sono quasi commossa, accipicchia!”. Scoppiamo a ridere insieme.