di Martina Consoloni
in arte Dottoressa Ghigola
La dottoressa Ghigola e Umberto, il suo topo, si sono svegliati presto stamattina. Hanno un grosso impegno: devono andare in ospedale.
“Dove sono le scarpe, e i calzini, dove sono i calzini? Umbertooo aiutamiii”
Dopo mille peripezie, eccoli finalmente in ospedale. La dottoressa Ghigola imbraccia il suo chitarrino, mette su il cappello e insieme ai suoi colleghi, il Dottor Lesso e Umberto, inizia a far visita ai piccoli pazienti.
È una giornata dura, si entra e si esce dalle stanze continuamente, per fortuna le risate dei bambini fanno sparire ogni stanchezza.
Ci siamo, è arrivata l’ora, il turno è quasi finito. Entriamo nell’ultima stanza, la stanza di A..Il Dottor Lesso si presenta e vuole far conoscere ad A. il nostro burattino Umberto.
“Umberto, su, esci fuori!”. Umberto fa il timido, ma incoraggiato da A. e dal Dottor Lesso fa capolino da sotto il mio camice.
A. gli spiega che non deve aver paura, perché il suo gatto è a casa quindi nessuno qui se lo potrà mangiare. Umberto non se lo fa dire due volte, e, manipolato dalla mia mano, si appoggia alla testiera del letto e inizia a parlare a raffica. A. e Umberto sembra vadano d’accordo: i due si raccontano delle barzellette, prendono in giro il Dottor Lesso e, in mezzo a tutte quelle risate, io noto la cannula della flebo infilata nella mano di A.
Mi è successo più volte, vedere bambini malati, ma questa volta è diverso. Sono immobilizzata. Ho paura e non so che cosa fare. Io che fisso l’ago e io che penso che vorrei abbraccare A. e io che vorrei dirgli che andrà tutto bene.
Il Dottor Lesso si accorge che sono scossa, con la sua goffaggine mi tira una gomitata e allora io mi ricordo: io adesso non sono io, non sono Martina. Stamani in ospedale c’è la Dottoressa Ghigola. Sento la mia mano dentro al pupazzo, sento A. che strilla che vuole far provare la sua playstation a Umberto. E, senza perdere un attimo in più, la Dottoressa Ghigola sorride e dice che Umberto è proprio una schiappa con la play.
Come se niente fosse, proseguiamo divertiti la chiacchierata con il piccolo A., facciamo volare in aria tre palline rincorse da Umberto e, proprio quando se la ride da morire, lo salutiamo, lasciandoci dietro una scia di bolle di sapone.
Il Dottor Lesso chiude la porta della stanza e ci avviamo nel nostro camerino: ci raccontiamo com’è andata, ci strucchiamo e torniamo a casa.
Quella sera ho pensato che ero davvero felice di essere un clown ospedaliero: non potevo fare niente contro gli aghi, le ingessature e i respiratori, ma i bambini come A. sono coraggiosi, si fanno travolgere e ti travolgono in un mondo in cui una siringa può diventare un’ape di cui non aver paura, e vale la pena visitare quel mondo qualche volta.