Storie dalla corsia

di Gianna Deidda
in arte Dott. Amelia

Guardo su facebook la faccia allegra di B. che mostra la lingua e si schiaccia il naso con un dito in una smorfia buffa. In un’altra foto sorride a tutti denti con sua madre o fa le boccacce abbracciata al fidanzatino. Ha compiuto 18 anni ad agosto, una mia parente di T. mi ha chiamata mentre ero in vacanza perché le facessi gli auguri a nome di tutti i dottori di Soccorso Clown.

L’ho conosciuta cinque anni fa nel reparto oncologia del Meyer. Quando siamo entrati nella sua stanza, io e il dottor Fresco, c’era un vassoio di paste sul letto, e intorno mamma, babbo, fratello, e qualche altro della famiglia. “Volete favorire?” “No, grazie, siamo in servizio, ma che festa è? “

Il dottor Fresco è più attento di me all’accento sardo: “Dottoressa, questi mi sa che sono suoi conterranei”

“Di dove siete?” “Di T.” “Il paese di mia nonna!”

Si mettono a ridere, pensano che sia una battuta del clown, invece è vero.

Metto da parte idealmente il naso da clown e faccio la seria.

“No, davvero, mia bisnonna faceva Cambedda, di cognome”

Cominciamo la solita indagine sull’albero genealogico familiare che segue tutte le presentazioni fra sardi: “ Ma Cambedda, quali? A T. ci sono due famiglie Cambedda: Cambedda i pastori o Cambedda i commercianti? “ Dopo un elenco di nomi di parenti (che non conosco personalmente) concludiamo che sono i Cambedda pastori.

Loro sono qui da qualche mese, il padre fa la spola fra Firenze e T., cercando di conciliare lavoro e famiglia, la mamma è fissa qui, ospite, insieme ad altri genitori di bambini lungodegenti, in una casa di accoglienza messa a disposizione dall’ospedale.

Li invito a un mio spettacolo che c’è proprio in quei giorni: “ Combinazione, è proprio su un’intervista fatta negli anni ’70 a una donna di T., Maria P., la conoscevate? “ Si ricomincia: a T. c’erano due Maria P., quale delle due?

Dopo un’altra breve indagine arriviamo a una conclusione, e qualche giorno appresso tutta la famiglia è allo spettacolo, anche B., avvolta in sciarpe di lana e cappuccio, perché è inverno e si sono pure persi nella nebbia prima di trovare il teatro.

Quando vado a T. con il mio spettacolo, è estate. C’è la festa del patrono, San Giacomo, ma non è solo per questo che il paese è tutto impavesato di bandierine colorate. Le strade sono attraversate da striscioni con la scritta: W B! Bentornata B.! ripetuta anche sull’asfalto. B. è tornata da Firenze qualche giorno prima, a bordo del taxi Milano 25 di Caterina Bellandi, come mi raccontano compiaciuti e un po’ stupiti i compaesani, che l’hanno accolta trionfalmente insieme alla sua strana accompagnatrice.

Nel giorno della festa vedo B., in un gruppetto di ragazzine: con le guance rosse dall’eccitazione, un fazzolettino intorno alla testa, va a preparare i culurgiones per la gara che contrappone i quattro quartieri storici del paese e poi li riunisce tutti nella mangiata finale. Mi saluta, sorride e scappa via.

Guardo le sue foto su facebook, l’allegria che sembra incontenibile, le sue smorfie da clown, i suoi bei capelli castani, i denti che brillano in un sorriso sfrontato.

Clown in corsia è anche questo.